Banca popolare di bari. Risparmi persi? Investimenti Sbagliati?
HAI ACQUISTATO AZIONI BANCARIE O OBBLIGAZIONI? HAI INVESTITO I TUOI
RISPARMI E TEMI DI PERDERLI?
ECCO CIÒ CHE DEVI SAPERE.
“Ho acquistato azioni bancarie e non riesco a vederle, il loro valore diminuisce vertiginosamente”
E’ la frase che caratterizza l’inizio degli incontri professionali con i miei assistiti e che spesso è accompagnata da un senso di impotenza, delusione e paura sia per lo scenario negativo immaginato (perdita dei risparmi accumulati in anni di sacrifici economici) sia per la paura di essere giudicati da familiari ed amici per aver creduto in un sistema bancario incapace di infondere fiducia nei risparmiatori e spesso sulle prime pagine dei quotidiani internazionali, nazionali e locali per default, commissariamenti, truffe a danno dei clienti, eccetera.
Sono note, infatti, le vicende economiche che hanno visto protagonisti, in negativo, vari Istituti di credito italiani ed esteri; tra i tanti, Veneto Banca, Lehman Brothers, Banca Etruria, Monte dei Paschi di Siena, solo per citarne alcune e da ultimo il caso Banca Popolare di Bari che sta destando, a ragion veduta, serie preoccupazione.
Ma cosa succede agli azioni, agli obbligazionisti e ai correntisti in caso di default dell’Istituto bancario?
Sebbene sia un’ipotesi remota, la possibilità che una banca vada in liquidazione coatta amministrativa (impropriamente è utilizzato il termine fallimento) è un’ipotesi assolutamente concreta; vero è che in passato si è verificata. In questo caso si aprirebbero scenari diversi in base alle tipologie di strumenti finanziari posseduti e del rapporto con la banca in difficoltà.
C’è, infatti, una netta differenza di trattamento e di tutele, tra azionisti, correntisti ed obbligazionisti o tra proprietari/possessori di altri strumenti finanziari.
Sono, infatti, relativamente al sicuro le somme depositate sul conto corrente, quelle messe nei conti di deposito, le somme indicate nei certificati di deposito nominativi, o riportate nei libretti di risparmio nominativi e sugli assegni circolari.
A tutelare il risparmio dei sottoscrittori, infatti, c’è il fondo interbancario di tutela dei depositi che garantisce, per i suddetti prodotti, il rimborso del credito verso la banca in difficoltà fino a 100.000 euro per depositante e per istituto.
Per operare in Italia, infatti, le banche devono aderire al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), cioè lo strumento che garantisce – in caso di liquidazione coatta amministrativa o di procedura di risoluzione di un istituto di credito – ogni depositante fino a un massimo di 100.000 euro. Attenzione, però: la garanzia non copre tutto. Sono coperti, come detto, i risparmi depositati sul conto corrente, quelli depositati nei conti di deposito, i certificati di deposito nominativi, i libretti di risparmio nominativi e gli assegni circolari. Non sono, invece, oggetto di garanzia, i depositi al portatore e gli strumenti finanziari (obbligazioni, azioni, prodotti derivati, pronti contro termine) emessi dalla banca. La garanzia del Fitd, poi, copre sia le persone fisiche sia quelle giuridiche (aziende) tranne banche, fondi, assicurazioni, enti pubblici e quei soggetti non compresi dalla normativa antiriciclaggio.
L’importo di 100.000 euro è riferito al totale dei rapporti ammessi a garanzia intrattenuti in banca dal singolo soggetto (in pratica per ogni codice fiscale). In caso di cointestazione del conto si applica il principio di proporzionalità e partecipa al totale la sola quota parte di pertinenza. Dunque, facendo un esempio: se Tizio ha presso la stessa banca un conto cointestato con Caio per € 100.000 (€ 50.000 ciascuno) e un conto personale di € 80.000, sarà esposto per €130.000 (€ 50.000+ € 80.000), di cui € 30.000 non saranno garantiti. Caio, invece, avrà € 50.000 totalmente garantiti. Se la stessa persona dispone di più conti presso altrettante banche, la garanzia si moltiplica: € 100.000 per ogni Istituto.
Sebbene il fondo non abbia risorse sufficienti a garantire il salvataggio di grosse banche – le risorse sono sufficienti per l’eventuale “crisi” di banche di piccole e medie dimensioni -, rappresenta comunque una garanzia per il risparmiatore (le risorse del fondo vengono garantite dagli istituti di credito aderenti con un piccolo accorgimento: più le banche sono rischiose, maggiore deve essere il loro contributo).
Il depositante, dunque, non corre particolari pericoli, neppure nel caso di default della propria banca sia essa piccola, media o grande. In quest’ultima ipotesi, infatti – crisi di grandi Istituti bancari – il salvataggio verosimilmente non vedrebbe coinvolto il fondo, ma seguirebbe altre strade (ad esempio la fusione della banca “malata” con una sana come già accaduto in passato in più occasioni).
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Obbligazioni e azioni della banca
Gli obbligazionisti e gli azionisti della banca in default subirebbero una perdita consistente, stimata nel 100% del proprio capitale. Teoricamente gli obbligazionisti dovrebbero essere rimborsati prima degli azionisti che – in quanto soci – saranno gli ultimi a ottenere soddisfazione. Tuttavia il default presuppone che i debiti superino di gran lunga gli attivi, con il risultato che entrambi (azionisti ed obbligazionisti) perderanno i loro soldi.
E’ opportuno ricordare però che in passato quando il default ha coinvolto “grandi” Istituti bancari non sono mancati interventi di Stato (anche se non soddisfacenti). Basti pensare che lo scorso 11 giugno 2019 è stato pubblicato il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha disciplinato le modalità di accesso al Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR), istituito con Legge n. 145/2018, e che ha consentito ai risparmiatori in possesso di azioni e/o obbligazioni subordinate emesse da Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza, Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, Bcc Crediveneto e Bcc Padovana di ottenere un indennizzo pari al 30% del costo di acquisto delle azioni, entro il limite massimo di € 100.000, per ciascun avente diritto, e nella misura del 95% del costo di acquisto delle obbligazioni subordinate, entro il limite massimo di € 100.000,00, per ciascun avente diritto.
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Cosa fare per difendere i propri risparmi
Una parola che ripeto spesso durante gli incontri professionali è “informazione”.
Ebbene sì, la corretta gestione del risparmio e l’utilizzo dei prodotti bancari non può prescindere dalla corretta conoscenza di tali prodotti. Essere informati, ossia conoscere i prodotti, riduce drasticamente il rischio di ingenti perdite e consente al risparmiatore di comprendere appieno i propri diritti, scongiurando truffe e circostanze negative non adeguatamente ponderate.
Concetti quali diversificazione del portafoglio, profilatura del cliente, conflitto di interessi, adeguatezza delle operazioni, diligenza, correttezza e trasparenza, costi dell’investimento, e lo stesso concetto di interesse (che da un punto di vista finanziario può tradursi con il concetto di premio per il rischio: più alto è il rischio di perdere il capitale investito più alto è l’interesse a parità prodotto) dovrebbero esser ben padroneggiati da qualsiasi risparmiatore/investitore che, al contrario, dovrebbe debellare il concetto di fiducia incondizionata nel sistema bancario (e nell’operatore/direttore di banca) ed avulsa da qualsivoglia conoscenza degli strumenti finanziari e dei prodotti bancari.
Non saper distinguere, in cucina, la carne dal pesce, la pasta dal riso, i legumi dalla frutta secca, equivale, nel mondo finanziario, a non saper distinguere il conto corrente dal certificato di deposito, l’azione dall’obbligazione, eccetera. Un cuoco non comprerebbe mai un filetto di angus senza conoscerne i tempi di cottura, gli abbinamenti o, peggio ancora, se volesse servire una cena a base di pesce. Del pari un risparmiatore consapevole non investirebbe mai in azioni se avesse necessità di pronta liquidità o di garanzia assoluta di rimborso del capitale investito.
Ecco quindi che essere informati e conoscere i prodotti diventa l’unica reale garanzia di risparmio sicuro.
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Il caso Banca Popolare di Bari
Sono quasi 70.000 gli azionisti della Banca Popolare di Bari che hanno scoperto di avere di fatto perso tutti i soldi investiti. Le loro storie sono simili. Accusano la banca di aver approfittato della loro inesperienza per firmare investimenti rischiosi, ricevendo in cambio rassicurazione sulla possibilità di tornare a disporre dei soldi in qualunque momento.
Ma così, alla fine, non è stato. Molti sono scesi in piazza per chiedere giustizia nei confronti un sistema fondato sulla buona fede dei risparmiatori e sulle “amicizie personali”.
Decenni di governo dei padri padroni su consigli di amministrazione e sindaci “distratti”.
Assemblee dei soci calmierate grazie a prezzi delle azioni, non quotate e illiquide, stabiliti a tavolino e per niente trasparenti.
Compravendite dei titoli opache e pilotate in modo da privilegiare alcuni soci ai danni di altri.
Gestioni opportunistiche del profilo di rischio dei clienti chiamati a investire negli aumenti di capitale, in modo da poterli imbottire di azioni e obbligazioni “della casa”.
Erogazione di credito facile agli “amici degli amici” che potevano vantare parentele con politici nazionali e locali.
È quanto emerso (solo uno stralcio) dalle carte dell’ispezione Consob alla Banca Popolare di Bari.
Ma cosa succede adesso a correntisti, obbligazionisti e azionisti della banca? Per ora l’istituto continua la sua operatività consueta, quindi nessuna conseguenza pratica è in vista per i correntisti e i clienti della banca. Il commissariamento da parte della Vigilanza è di fatto una misura temporanea per assumere il controllo della banca, in vista di una rapida messa in sicurezza dell’istituto tramite una ricapitalizzazione da parte di altri soggetti.
Gli azionisti e gli obbligazionisti, infatti, sono l’anello debole di questa vicenda.
Le azioni della banca sono state congelate sul mercato Hi-Mtf e non sono scambiabili. È ipotizzabile che in prospettiva ci siano provvedimenti che attenuino le perdite dei soci, sullo scorta di quanto avvenuto per i soci delle banche venete. E’ notizia recente che il 30.12.p.v. si riunirà il consiglio del Fondo interbancario per la tutela dei depositi con il compito di quantificare l’importo che dovrà versare per rimettere in sesto la banca.
Siamo, dunque, in una fase delicata della vicenda; ogni azione del correntista/risparmiatore dovrà essere adeguatamente ponderata e soprattutto valutata soggettivamente, escludendo fenomeni di massa che poco hanno a che fare con la natura soggettiva del risparmio e delle sue regole.
Per eventuali chiarimenti o per fissare un incontro diretto a valutare possibili strade per recuperare i risparmi ingiustamente persi potrete utilizzare i numeri reperibili sul sito.
N.B. Si precisa che il contenuto del presente articolo potrebbe non essere aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito a concrete fattispecie.
Contenzioso bancario: l’usura
CONTENZIOSO BANCARIO: L’USURA
L’ usura è il reato che commette un soggetto, persona fisica o giuridica, che
sfruttando il bisogno di denaro, concede un prestito chiedendone la restituzione a un
tasso d’ interesse superiore al cosiddetto “tasso soglia” consentito dalla legge.
Alla base di un rapporto usurario c’è, dunque, da una parte, la necessità di
denaro e, dall’ altra, un’offerta che può apparire, per chi si trova in difficoltà, come una
facile e rapida soluzione ad un problema finanziario, ma che in realtà rappresenta una
trappola economica in cui si entra fiduciosi di far fronte ai pagamenti pattuiti e si resta
invece irretiti, perché sempre più coinvolti e travolti dalle difficoltà economiche.
Il sovraindebitamento è spesso poi, alla base del facile ed incauto ricorso al
credito usurario, e può riguardare chiunque si trovi in un momento di difficoltà
economica, si tratti di un singolo, di una famiglia o di un imprenditore.
La nozione di usura è unitaria sia a livello penale sia a livello civile, sebbene il
rilievo della stessa sia riconducibile all’ambito penalistico la cui norma cardine è l’art.
644 c.p.
La differenza riguarda esclusivamente le conseguenze che l’accordo illecito
produce. Dal punto di vista penale, infatti, il colpevole è punito con la pena di cui
all’art. 644 c.p., come modificato a seguito della riforma intervenuta con la Legge del 7
marzo 1996, n. 108, che, al comma 1, dispone: “Chiunque, fuori dei casi previsti
dall’ articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi
usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da € 5.000,00 a €
30.000,00 […]”.
Da un punto di vista civilistico, invece, le sanzioni sono varie: si va dalla
trasformazione del mutuo oneroso in mutuo gratuito (la vittima di un mutuo o di un contratto
usurario dovrà restituire solamente – a rate – quanto ricevuto in prestito senza più pagare interessi. La
giurisprudenza peraltro estende la sanzione della gratuità del rapporto anche ad altre fattispecie eccetera), alla rescissione del contratto, fino al risarcimento del danno causato dal comportamento scorretto del colpevole.
L’art. 644 c.p. inoltre distingue due fattispecie di usura: l’usura presunta o
oggettiva, che ricorre quando si eccede la soglia d’usura (il c.d. tasso soglia), e l’usura
concreta o soggettiva che, invece, ricorre nel caso di abuso dello stato di difficoltà
della vittima, quale strumento di lucro indebito attraverso la sproporzione delle
prestazioni – la riforma intervenuta con la Legge del 7 marzo 1996, n. 108 ha
modificato l’art. 644 c.p. eliminando l’elemento dello stato di bisogno o di difficoltà
economico-finanziaria, dalla struttura del reato di usura, che rileva ora unicamente
quale circostanza aggravante -.
In particolare, il terzo comma dell’art. 644 c.p. prevede, nel suo primo periodo,
che “[…] La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari […]”
(c.d. usura presunta o oggettiva), mentre la seconda parte sempre del terzo comma
dell’art. 644 c.p. prevede che “[…] Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a
tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità
del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque
sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di
mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà
economica o finanziaria […]” (c.d. usura in concreto o soggettiva”).
La disposizione normativa chiamata a stabilire il tasso-soglia, oltre il quale
l’interesse può dirsi usurario, è l’ art. 2, comma 4, L. n. 108 del 1996, che ne parametra
il valore partendo dal “tasso medio risultante dall’ ultima rilevazione pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in
cui il credito è compreso […]”.
Il comma 1, del citato art. 2, prevede che “il Ministro del Tesoro, sentiti la
Banca d’ Italia e l’ Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo
globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati
dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’ Ufficio italiano
dei cambi e dalla Banca d’ Italia […]. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti
in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre
di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”.
Il tasso-soglia stabilito con decreto ministeriale viene, dunque, individuato a
partire dal valore mediamente praticato del cd. TAEG (Tasso Effettivo Annuale
Globale) dell’ operazione contrattuale, nel cui computo occorre considerare
commissioni e remunerazioni a qualsiasi titolo, nonché, spese, ad eccezione di quelle
per tasse ed imposte.
Il TAEG, infatti, “indica il costo totale del credito per il consumatore espresso in
percentuale annua dell’ importo totale del credito” (art. 121, comma 1, lett. m, T.U.B
attualmente vigente).
Cos’è, dunque, l’usura bancaria?
L’usura bancaria, costituisce, all’interno dell’attuale art. 644 c.p., una forma
aggravata di usura in ragione del collegamento funzionale tra lo svolgimento stabile
dell’attività professionale e l’erogazione di danaro.
Tralasciando l’analisi dell’usura c.d. soggettiva, per ragioni di sinteticità
espositiva, si configura invece un’ipotesi di usura c.d. presunta o oggettiva in ambito
bancario – di cui al richiamato art. 644 c.p. -, quando l’interesse applicato ad un
prodotto (sia esso mutuo, un finanziamento, un’apertura di credito in conto corrente, o
qualsiasi altro prodotto che presuppone un erogazione di danaro) supera il tasso
soglia pubblicato trimestralmente dalla Banca d’Italia. Oltre tale limite, infatti, si
configura il c.d. tasso usurario.
Ed è proprio nell’ambito dell’usura bancaria (a differenza di quella criminale)
che si pongono spinose questioni inerenti la verifica del superamento del tasso legale.
Infatti, la determinazione del tasso, lungi dal rappresentare un’operazionemeramente tecnica e automatica, poiché, affida, ai soggetti deputati alla
determinazione del tasso, ampi margini di discrezionalità tecnica, che si manifestano a
monte nella fase della rilevazione dei tassi medi. Recentemente, si è posta la
questione se debbano essere inclusi o meno nel computo del TEG (e nelle rilevazioni
del TEGM – tasso effettivo globale medio) anche interessi moratori, oneri eventuali,
penali e costi di estinzione anticipata del credito che attengono alla dimensione
patologica del rapporto contrattuale, a prescindere dal fatto che si siano verificate le
condizioni cui il pagamento di tali interessi o oneri eventuali è subordinato.
Al quesito la giurisprudenza civile ha fornito una risposta positiva.
In proposito, si impongono due precisazioni alla luce dell’ art. 1, comma 1, D.L.
n. 394 del 2000, conv. con modif. dalla L. n. 24 del 2001, che così recita:”Ai fini
dell’ applicazione dell’ articolo 644 del codice penale e dell’ articolo 1815, secondo
comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite
stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a
qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
La prima precisazione – di ordine temporale – induce a dover verificare il
rispetto del tasso-soglia al costo del credito così come pattuito in sede di stipula del
contratto, dovendosi invece escludere la c.d. usura sopravvenuta, alla luce dei recenti
orientamenti giurisprudenziali (cfr. Cass. ordinanza n. 2311/2018).
La seconda – di ordine contenutistico – impone di considerare, ai fini del calcolo
del costo complessivo del credito, qualsivoglia voce di spesa comunque denominata
nonché qualsivoglia tipologia di interesse, escluse imposte e tasse.
In particolare, quanto alle “spese”, deve computarsi anche il compenso stabilito
per l’ estinzione anticipata del mutuo, a prescindere dalla modalità, anche percentuale,
di calcolo (è doveroso precisare, per completezza espositiva, che alcuni Tribunali Italiani, tra cui il
Tribunale di Taranto, esclude che possa includersi nel calcolo del tasso soglia la penale di estinzione
anticipata) oltre a tutti i costi connessi con l’erogazione del credito, tra cui a titolomeramente esemplificativo, polizze assicurative, spese di istruttoria pratica e di
incasso rate.
Quanto agli interessi, invece, devono computarsi non solo quelli di natura
corrispettiva, ma anche quelli convenuti a titolo moratorio.
In tal senso si è invero stratificata nel tempo la più autorevole giurisprudenza:
da Corte Cost., sent. 25 febbraio 2002, n. 29 (“il riferimento, contenuto nell’ art. 1, comma 1, del
D.L. n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’ assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”); nonché a Cass. Civ., 09 gennaio 2013, n. 350 (“Ai fini dell’ applicazione dell’ art. 1815 c.c. e dell’ art. 644 c.p. si considerano usurari gli interessi
che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a
qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’ interessi moratori”).
Non si riscontrano allo stato arresti difformi della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 350,
602, 603 del 2013, Cass. 5286/2000; Cass. 14899/2000; v. anche Cort. Cast., n.29/2002, secondo cui è
plausibile l’assunto che gli interessi di mora siano assoggettati alla normativa antiusura) ed anzi sulle
questioni che precedono si sono conformemente pronunciati anche una parte dei
giudici di merito (cfr. Corte di Appello di Bari, sent. n. 990 del 04.06.2018, Tribunale di Bari ord.
3/6/2016, nella causa R.G. n. 994/2016, ord. 12.05.2017 e sentenza dell’8.11.2016 nella causa r.g. n.
13386/2012, sempre Tribunale di Bari, 17.03.2018, r.g.e. n. 163.2017, Trib. di Torino, sez. I, 14.05.2015 e
10.06.2014; Trib. Torino sez. VI, 27.04.2016 e Trib. di Belluno 248 del 25.05.2018).
Ciò stabilito sul piano generale e teorico, occorre, pertanto, nei singoli casi,
verificare se al prodotto bancario in analisi siano stati applicati interessi superiori al
c.d. tasso soglia, includendo e considerando nella suddetta verifica, oltre agli interessi,
tutti i costi a carico del Cliente (correntista, mutuatario o beneficiario del
finanziamento), tra cui commissioni, coperture assicurative e ogni tipo di
remunerazione e spese collegati all’erogazione del credito escluse quelle per imposte
e tasse.
N.B. Si precisa che il contenuto del presente articolo potrebbe non essere
aggiornato o comunque non applicabile al Suo specifico caso. Si raccomanda di
consultare un avvocato esperto prima di assumere qualsiasi decisione in merito
a concrete fattispecie.